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La decisione della Suprema Corte ha un’importanza enorme.

Difatti sovverte quell’orientamento giurisprudenziale invero perverso ma diffuso per il quale il correntista attore in giudizio ha l’onere di depositare in via integrale tutta la documentazione inerente l’andamento del rapporto di conto corrente (leggi estratti conto), subordinando l’ammissibilità dell’ordine giudiziale di esibizione ex art. 210 c.p.c. al previo ma vano esercizio del diritto di ricevere la documentazione ex art. 119 e negando la CTU nell’ipotesi in cui il correntista non abbia provveduto al deposito dei documenti stessi.

Ora invece, a prescindere da chi inizi la vertenza, è sufficiente che l’esistenza del rapporto di conto corrente sia pacifica, ovvero non contestata tra le parti litiganti, perché possa ordinarsi alla banca di esibire TUTTI gli estratti conto e perché venga ammessa una CTU contabile finalizzata al ricalcolo del saldo reale.

Di seguito la trascrizione della sentenza.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 23 febbraio – 15 marzo 2016, n. 5091 Presidente Forte – Relatore Nappi

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Roma ha confermato il rigetto della domanda proposta dalla S.v.a.c. 85 s.p.a. e da S.D. nei confronti della Banca di Roma, con la quale avevano stipulato diversi contratti di conto corrente, per la dichiarazione di nullità delle clausole contrattuali relative a interessi ultralegali, anatocismo, commissioni di massimo scoperto e per la condanna della banca alla restituzione delle somme indebitamente percepite e al risarcimento dei danni.

Ritennero i giudici del merito che le domande proposte erano prive di qualsiasi fondamento, perché gli attori non avevano prodotto alcuna prova delle pattuizioni impugnate, dell’andamento dei conti, dei tassi di interesse applicati, delle spese e delle commissioni, ma si erano limitati a richiedere inammissibilmente una consulenza contabile e un’esibizione documentale con finalità meramente esplorative.

Contro la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione la S.v.a.c. 85 s.p.a. e S.D. sulla base di due motivi d’impugnazione, cui resiste con controricorso la Unicredit Credit Management Bank s.p.a., succeduta alla Banca di Roma, che ha depositato anche memoria.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando che i giudici del merito abbiano omesso di valutare la documentazione contabile prodotta, idonea a giustificare sia la richiesta di consulenza sia la richiesta di esibizione.

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione di norme di diritto, lamentando che i giudici del merito abbiano arbitrariamente rigettato le domande di nullità delle clausole relative agli interessi legali, pur in presenza di contratti privi di clausole valide e vincolanti, e illegittimamente disatteso la richiesta di consulenza tecnica.

2. Sono fondate e assorbenti le censure relative alla mancata ammissione della consulenza contabile e al rigetto della richiesta di esibizione di documenti.

Non v’è dubbio, infatti, che «la mancata disposizione della consulenza tecnica d’ufficio da parte del giudice, di cui si asserisce l’indispensabilità, è incensurabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione, laddove la consulenza sia finalizzata ad esonerare la parte dall’onere della prova o richiesta a fini esplorativi alla ricerca di fatti, circostanze o elementi non provati» (Cass., sez. I, 5 luglio 2007, n. 15219, m. 598314).

Tuttavia, quando la parte chieda una consulenza contabile sulla base di una produzione documentale, il giudice non può qualificare come esplorativa la consulenza senza dimostrare che la documentazione esibita sarebbe comunque irrilevante.

Come s’è detto, ha natura esplorativa infatti la consulenza finalizzata alla ricerca di fatti, circostanze o elementi non provati dalla parte che li allega (Cass., sez. I, 5 luglio 2007, n. 15219, m.598314), non la consulenza intesa a ricostruire l’andamento di rapporti contabili non controversi nella loro esistenza.

E secondo la giurisprudenza di questa corte, è consentito derogare finanche al limite costituito dal divieto di compiere indagini esplorative, «quando l’accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con l’ausilio di speciali cognizioni tecniche, essendo in questo caso consentito al c.t.u. anche di acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse» (Cass., sez. III, 14 febbraio 2006, n. 3191, m. 590615).

D’altro canto è vero che l’esibizione di documenti non può essere chiesta, ai sensi dell’art. 210 c.p.c., a fini meramente esplorativi, allorquando neppure la parte istante deduca elementi sulla effettiva esistenza del documento e sul suo contenuto per verificarne la rilevanza in giudizio (Cass., sez. L, 20 dicembre 2007, n. 26943, m. 600960).

Ma nel caso in esame non può mettersi in dubbio l’esistenza dei rapporti di conto corrente, non contestati dalla banca, e dunque l’esistenza della documentazione relativa alla loro gestione.

Quanto poi alla consulenza contabile, la stessa corte d’appello dà atto della produzione di documenti attestanti l’esistenza dei conti correnti, anche se mancanti delle condizioni regolative del rapporto, e della documentazione relativa ad alcuni conti, sia pure limitata a brevi periodi di tempo.

E questa documentazione non viene considerata irrilevante, bensì solo insufficiente; ma come s’è detto l’insufficienza di una documentazione rilevante non giustifica il diniego della consulenza contabile.

Del resto, secondo quanto prevede l’art. 119 del d.lgs. n. 385/1993, nei contratti di durata come il conto corrente, la banca è tenuta a fornire al cliente, in forma scritta almeno una volta all’anno «una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto»; e «con periodicità annuale o, a scelta del cliente, con periodicità semestrale, trimestrale o mensile» l’estratto conto relativo ai rapporti regolati in conto corrente.

Mentre è indiscusso nella giurisprudenza di questa corte che «la norma dell’art. 1832 c.c., da leggersi in armonia con quella dell’art. 1827 c.c., impone che l’approvazione o la mancata contestazione nei termini del rendiconto spedito da uno dei correntisti, non impedisce di contestare la mancanza o la validità del rapporto che costituisce la causa dell’annotazione» (Cass., sez. I, 11 maggio 2001, n. 6548, m. 546591, Cass., sez. I, 20 settembre 2013, n. 21597, m. 627524).

Inoltre l’art. 109 comma 4 d.lgs. n. 385/1003 riconosce al cliente il diritto di ottenere «copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni».

E secondo la giurisprudenza di questa corte, questa norma riconosce al cliente della banca «il diritto di ottenere la documentazione inerente a tutte le operazioni del periodo a cui il richiedente sia in concreto interessato, nel rispetto del limite di tempo decennale fissato dalla norma, e che comunque non è necessario che il richiedente indichi specificamente gli estremi del rapporto a cui si riferisce la documentazione richiesta in copia, essendo sufficiente che l’interessato fornisca alla banca gli elementi minimi indispensabili per consentirle l’individuazione dei documenti richiesti, quali, ad esempio, i dati concernenti il soggetto titolare del rapporto, il tipo di rapporto a cui è correlata la richiesta e il periodo di tempo entro il quale le operazioni da documentare si sono svolte» (Cass., sez. I, 12 maggio 2006, n. 11004, m. 590442) .

Sicché il correntista ha diritto di chiedere alla banca sia la documentazione sia il rendiconto relativi a un rapporto contrattuale la cui esistenza non sia controversa, atteso che «il procedimento di rendiconto di cui agli artt. 263 e s. c.p.c. è fondato sul presupposto dell’esistenza dell’obbligo legale o negoziale di una delle parti di rendere il conto all’altra, facendo conoscere il risultato della propria attività» (Cass., sez. I, 23 luglio 2010, n. 17283, m. 614140).

Erroneamente dunque i giudici del merito hanno negato l’ammissione della consulenza contabile e respinto la richiesta di ordinare alla banca l’esibizione della documentazione necessaria alla ricostruzione dei rapporti con gli attori. La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, che in diversa composizione si atterrà ai principi di diritto enunciato.

P.Q.M.

La corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione

Il testo integrale:  Cass. sez._I_Civile_sentenza_23_febbraio__15_marzo_2016_n._5091

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