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ABF Collegio di Coordinamento, decisione del 16 maggio 2018 n. 18832 

(Con nota di Laura Albanese in Diritto del Risparmio)

Dirimente intervento “a gamba tesa” dell’ABF Collegio di coordinamento del 16 maggio 2018, secondo il quale la discrasia tra il TAEG indicato in contratto e quello effettivo dà luogo all’applicazione sanzionatoria dei tassi BOT ex art. 124 bis TUB nel credito al consumo, ed ex art. 117 TUB al di fuori del credito al consumo.

Di seguito si riporta uno stralcio:

Il Collegio di Roma riteneva, invece, di dover rimettere al Collegio di Coordinamento la questione relativa ai rimedi applicabili in caso di non corretto inserimento del TAEG.

Il suddetto Collegio riteneva, infatti, che il TAEG non costituisse un tasso di interesse o una specifica condizione economica. Lo stesso, per il Collegio di Roma, avrebbe, infatti, solo una funzione informativa, finalizzata a mettere in condizione il consumatore di conoscere il costo del prestito prima di accedervi. Di qui l’idea secondo la quale il TAEG non avrebbe “alcuna funzione o valore di regola di validità, tanto meno essenziale, del contratto”. Il TAEG, inoltre, per il Collegio rimettente, non rappresenterebbe “l’unica informazione in grado di orientare le scelte del consumatore, prevedendo il legislatore, nel caso di credito ai consumatori, l’obbligo di riportare nei documenti precontrattuali e contrattuali ulteriori indicazioni utili ad assumere decisioni con piena cognizione di causa, nonché «per consentire il raffronto tra le offerte», quali, a puro titolo indicativo: l’importo, il numero e la periodicità dei pagamenti che il consumatore deve effettuare; l’importo totale che il consumatore è tenuto a pagare, calcolato al momento della conclusione del contratto di credito; le spese, comunque denominate, comprese nel costo totale del credito, quali ad esempio gli oneri connessi all’utilizzazione dei mezzi di pagamento o il tasso debitore (cd. tasso annuo nominale, TAN), etc.”.

Il TAEG e l’ISC, sarebbero – per il Collegio di Roma – solo “misure “sintetiche e convenzionali” del costo complessivo del contratto, utili per consentire il raffronto tra le offerte prima che il cliente si vincoli con la stipula. Di conseguenza – sempre che la legge non preveda altrimenti – violazioni delle disposizioni che attengono al loro conteggio (come ad esempio in caso di rappresentazione non corretta dell’indicatore, essendosi omesso l’inserimento di alcuni parametri) hanno, di per sé, «valenza di regola di comportamento, comportante una mera obbligazione risarcitoria a titolo di responsabilità contrattuale» del finanziatore”.

Il Collegio mette in evidenza, infatti, come l’apparato rimediale previsto in tema di credito al consumo sia articolato e preveda sicuramente, in caso di mancanza di informazioni (persino nell’ipotesi in cui tali mancanze si manifestino solo in fase precontrattuale), rimedi invalidativi. Si pensi alle conseguenze derivanti proprio dal non corretto inserimento di voci di costo nel TAEG pubblicizzato in cui, per l’appunto, ciò che rileva è che il TAEG non offra un’informazione corretta al consumatore o all’ipotesi in cui il TAEG manchi. In nessuna di queste ipotesi il rimedio è meramente risarcitorio.

Da ciò discende che, anche ammesso che si possa accettare una distinzione generale di sistema fra regole di validità e regole di condotta, le prime legate a clausole di contenuto e le altre a clausole di informazioni, e sempre ammesso che tale distinzione possa operare anche nel settore dei contratti bancari, una siffatta ripartizione certamente non possa essere invocata con riferimento alla disciplina del credito al consumo.

Sotto questo profilo, dunque, il Collegio non rinviene ragioni per discostarsi da quanto già affermato nella decisione n. 1430 del 18 Febbraio 2016, e cioè che non appare convincente: “la visione separata e autonoma dei commi 6 e 7 dell’art.125 bis TUB e la enfatizzazione della distinzione tra nullità della clausola contrattuale relativa al costo non incluso (o non correttamente incluso) nel TAEG e nullità della clausola relativa al TAEG non inclusiva del costo medesimo. I commi 6 e 7 sono rappresentativi della medesima regola per la quale alcuni costi (nella specie i premi di polizze assicurative obbligatorie), se fanno giuridicamente parte integrante del costo complessivo del credito, devono essere necessariamente inseriti nel TAEG in modo che il cliente consumatore possa comparare con avvedutezza le varie offerte del mercato e orientarsi consapevolmente nella scelta del

soggetto mutuante. La violazione di tale regola ha il suo pendant indefettibile nella circostanza che tali costi, non venendo inclusi nel TAEG, sono maliziosamente, o semplicemente per errore di diritto, indicati separatamente nel contratto quasi che fossero delle voci di costo facoltative. Si tratta in realtà di due facce della stessa medaglia. E la

conseguenza è (non può non essere) che è nulla la clausola relativa al costo in sé considerata, onde nulla è dovuto per tale titolo, ma è anche nulla la clausola relativa al TAEG che non ha previsto quel costo: ipotesi per la quale il comma 7 prevede una forma di integrazione legale del contratto con applicazione del tasso nominale sostitutivo (“il TAEG equivale al tasso nominale dei BOT o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministero dell’Economia emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto”).

Non a caso il comma 7, richiamando proprio i casi, previsti nel comma 6, in cui cioè nel contratto è indicato un costo che illegittimamente non è stato incluso nel TAEG (assenza) ovvero che vi è stato incluso in modo scorretto, parla rispettivamente di assenza o di nullità delle “relative” clausole e dispone che per ciò stesso il TAEG equivalga al tasso nominale dei BOT. Diversamente opinando, dovrebbe pervenirsi a una vera e propria aporia: considerare in pari tempo nulla la clausola che prevede un costo che per legge doveva essere incluso nel TAEG e valida la clausola del TAEG che illegittimamente non lo ha previsto. Pertanto, considerando che analoga conseguenza ortopedica era applicabile per i consumatori … in virtù di quanto previsto dall’art.124 comma 5 allora vigente … discende da quanto detto che … la nullità della controversa clausola relativa al TAEG deve comportare, così come richiesto dal ricorrente, l’applicazione del tasso legale sostitutivo”. A ciò si aggiunga che l’art. 117 del Tub collega espressamente il rimedio sostitutivo, di cui al settimo comma, alla nullità delle clausole di cui al sesto comma. Segno che, anche in un contesto più ampio rispetto a quello della tutela del consumatore, il meccanismo nullità/sostituzione è quello preferito dal legislatore del TUB in caso rappresentazione non precisa delle condizioni al cliente.

Il Collegio rimettente ritiene che un rimedio siffatto possa essere considerato “sproporzionato” rispetto alla violazione e chiede di offrire una soluzione interpretativa più in linea con quanto disposto proprio dall’art. 23 della Direttiva 2008/48/CE.

In vero, il Collegio di Coordinamento nella decisione n. 1430 del 18 Febbraio 2016 aveva già chiarito che la circostanza che “questa soluzione possa apparire una sanzione inadeguata o sproporzionata per l’intermediario è rilievo di politica legislativa che non spetta all’interprete sindacare, soprattutto per derivarne conseguenze esegetiche che non sembrano esattamente in linea con il dettato normativo e ancor più con la sua complessiva logica”.

Al di là di questo, però, c’è una ragione molto forte per non accogliere l’argomentazione del Collegio rimettente ed è quella offerta dalla decisione della Corte di Giustizia (Terza Sezione) del 9 Novembre 2016, causa C-42/15.

Il giudice del rinvio aveva chiesto alla Corte di Giustizia se l’articolo 23 della direttiva 2008/48 dovesse essere interpretato nel senso che esso ostasse a che uno Stato membro potesse prevedere, nella propria normativa nazionale, l’esenzione da interessi e spese nell’ipotesi in cui contratto di credito non menzionasse tutti gli elementi richiesti dall’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva in parola (che contempla espressamente il TAEG fra gli elementi che devono figurare nel contratto di credito).

La disciplina a cui faceva riferimento il giudice del rinvio era contenuta nell’art. 11, paragrafo 1, dalla Legge n.129/2010, dell’ordinamento slovacco, e prevedeva, in caso di non corretta indicazione del TAEG a scapito del consumatore, che il credito concesso fosse considerato esente da interessi e spese.

Si trattava di una disciplina, come si può cogliere agevolmente, relativa a una fattispecie (non corretta indicazione del TAEG) identica a quella di cui si discute in questa sede e che prevedeva un rimedio addirittura più gravoso di quello previsto nel settimo comma dell’art. 125 – bis del Tub.

La Corte di Giustizia ha stabilito che l’articolo 23 della direttiva 2008/48 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro preveda, nella sua normativa nazionale, che, qualora un contratto di credito non menzioni tutti gli elementi richiesti dall’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva in parola, tale contratto sia considerato esente da interessi e spese, sempreché si tratti di un elemento la cui assenza possa rimettere in discussione la possibilità per il consumatore di valutare la portata del proprio impegno. Riveste una tale importanza essenziale – secondo la Corte di Giustizia – l’obbligo di menzionare nel contratto di credito, in particolare, elementi quali il tasso annuo effettivo globale di cui all’articolo 10, paragrafo 2, lettera g), della direttiva 2008/48. La Corte esclude, dunque, che l’art. 23 osti al mantenimento della disciplina nazionale.

In nessun modo, dunque, si può dire che l’art. 23 della Direttiva possa ostare alla lettura dei commi 6 e 7 dell’art. 125 – bis del Tub offerta dal Collegio di Coordinamento già nel 2016.

Questo Collegio, pertanto, ribadisce quanto già affermato nel 2016 e cioè che: nulla la clausola relativa al costo in sé considerata, onde nulla è dovuto per tale titolo, è anche nulla la clausola relativa al TAEG che non ha previsto quel costo. Con riferimento a tale ipotesi il comma 7 dell’art. 125 – bis del Tub prevede una forma di integrazione legale del contratto con applicazione del tasso nominale sostitutivo.

Il Collegio, pertanto, accertato il mancato inserimento del costo assicurativo nel TAEG indicato nel contratto stipulato il primo aprile 2010, ritiene che l’intermediario debba rideterminare il piano di ammortamento – ai sensi della disciplina vigente all’epoca della stipula del contratto – e debba restituire alla parte ricorrente l’eccedenza percepita, maggiorata degli interessi legali da calcolarsi con riferimento alle date dei singoli incassi.

PER QUESTI MOTIVI

Il Collegio accerta la nullità della clausola relativa al TAEG e dispone che l’intermediario ridetermini il piano di ammortamento – ai sensi della disciplina vigente all’epoca della stipula del contratto – e restituisca alla parte ricorrente l’eccedenza percepita, maggiorata degli interessi legali da calcolarsi con riferimento alle date dei singoli incassi. Respinge nel resto.

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