Pubblicato il: 30/08/2024

Con il termine mobbing si designa un fenomeno che si sviluppa all’interno dei luoghi di lavoro e che si concretizza in un insieme di comportamenti aggressivi e persecutori a danno di un lavoratore, posti in essere da un soggetto che può essere tanto il datore di lavoro, quanto altri colleghi.

Il tratto che caratterizza il mobbing è rappresentato dal fatto che i comportamenti vessatori, rivolti nei confronti del lavoratore, sono reiterati, duraturi e finalizzati a lederne l'integrità psicofisica o ad estrometterlo dall’azienda o dall’ente in cui svolge la propria attività lavorativa.

Il mobbing – si noti – non è considerato un istituto di diritto penale, perché non è presente all’interno del codice penale un articolo che lo disciplina.

Così, data l’assenza di una norma incriminatrice e la perdurante inerzia del legislatore, la giurisprudenza – in via suppletiva – ha tendenzialmente ricondotto il fenomeno all’interno del perimetro sanzionatorio di alcune fattispecie di reato previste, nella specie, dalle seguenti norme del codice penale:

  • art. 572 c.p., laddove prevede le ipotesi di chi commette maltrattamenti in danno di “persona sottoposta alla sua autorità”. Infatti il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore subordinato – essendo caratterizzato dal potere direttivo e disciplinare che la legge attribuisce al datore nei confronti del lavoratore dipendente – pone, invero, quest’ultimo nella suddetta condizione di “persona sottoposta alla sua autorità’’;
  • art. 610 c.p., che punisce il reato di violenza privata;
  • art. 612 bis c.p., che punisce il delitto di atti persecutori.

Un quadro giuridico questo, tuttavia, destinato a cambiare proprio all’indomani della decisione assunta dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 32770 del 21 agosto 2024. Una sentenza che – come riferiscono i primi commentatori – “apre la strada a una più efficace repressione di comportamenti vessatori che si protraggono ben oltre l’ambiente lavorativo”.

La Corte ha, infatti, sottolineato che “il mobbing, quando esercitato con modalità vessatorie reiterate e idonee a determinare un perdurante stato di ansia o di timore nella vittima, può essere ricondotto alla fattispecie dello stalking“.

Il caso specifico – che ha portato a questa conclusione – riguarda un docente universitario accusato di una serie di reati, tra cui molestie sessuali nei confronti delle studentesse e abuso di autorità. Le azioni del docente, essendo state condotte in modo sistematico e prolungato, hanno non solo configurato una situazione di mobbing, ma sono state considerate a tutti gli effetti come stalking in ambito lavorativo, fenomeno altrimenti noto come stalking occupazionale.

Nella sentenza in esame è emerso che i comportamenti vessatori, posti in essere dal docente universitario indagato, hanno generato un ambiente di lavoro ostile e insostenibile. Tra le condotte denunciate e riscontrate in giudizio figurano la marginalizzazione professionale e l’adozione di atteggiamenti intimidatori e persecutori nei confronti degli specializzandi dissidenti.
La Cassazione ha evidenziato come tali comportamenti abbiano “superato il livello di ordinaria conflittualità presente in un ambiente di lavoro” e si siano concretizzate in un “accanimento psicologico” ai danni delle vittime tale da configurare, per l'appunto, gli estremi dello stalking occupazionale.


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