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Tribunale di Cagliari, sentenza n. 1455 del 26 giugno 2019, Est. Nicola Caschili

Anche al di fuori del credito consumeristico, la discrasia tra TAEG/ISC indicato letteralmente in contratto e quello effettivo alla luce delle condizioni economiche è sanzionabile con l’applicazione dei tassi BOT ai sensi dell’art. 117 TUB

La decisione in esame si palesa particolarmente pregevole in subiecta materia perché offre una attenta e meticolosa analisi critica degli attuali orientamenti giurisprudenziali, pro e contra la tesi dell’applicazione sanzionatoria in caso di discrasia del TAEG/ISC, propendendo infine per quest’ultima con motivazioni assolutamente condivisibili (ad avvivo di questa difesa) sotto i profili giuridico, esegetico e teleologico.

Si riporta lo stralcio decisivo:

<<<<<<<<<<< OMISSIS – 9. Sulla difformità dell’ISC applicato rispetto a quello indicato.

Più complessa è la questione relativa alla difformità del ISC/TAEG contrattuale, rispetto a quello effettivo.

Il CTU ha accertato lo scostamento dell’ISC rispetto a quello effettivo. In particolare, la consulenza tecnica ha acclarato che la banca convenuta ha calcolato l’ISC indicato (5,164%) considerando solo – tra le varie spese – quelle di istruttoria in aggiunta al tasso annuo nominale (5,10%), ed escludendo invece quelle di perizia, dell’assicurazione obbligatoria, delle spese di cancellazione dell’ipoteca.

La parte convenuta lamenta che il CTU avrebbe adoperato criteri di calcolo dell’ISC sulla base di norme non ancora vigenti al momento del contratto, e segnatamente l’art. 121, lett. e) TUB.

Il rilievo è fondato limitatamente alle spese di assicurazione, non potendosi fare applicazione della disciplina introdotta nel 2010 per il credito al consumo, successiva alla stipulazione del contratto in esame. Le spese sostenute dai mutuatari sono relative ad assicurazione per eventi di incendio e distruzione dell’immobile ipotecato mentre il d.m. 8 luglio 1992, art. 2 prevede l’inclusione nel TAEG delle spese di assicurazione per eventi che riguardano il mutuatario (e non l’immobile ipotecato), con esclusione delle restanti spese assicurative.

E’ al contrario corretto l’assunto del CTU circa la doverosa inclusione nel TAEG delle spese di perizia, di cancellazione di ipoteca e di altre spese addebitate, trattandosi di spese che il contraente deve obbligatoriamente sopportare per la concessione del credito e della garanzia ipotecaria, non espressamente escluse dall’art. 2 del d.m. citato. Né rileva che il CTU non sia riuscito a meglio qualificare l’origine delle “altre spese addebitate”, dovendosi in tal caso far rientrare tali costi nella previsione generale della lett. f dell’art. 2 c. 3 del d.m. citato.

Il CTU ha proposto due ipotesi di TAEG applicato: mentre l’ipotesi 1 include solo spese di istruttoria e di assenso per cancellazione dell’ipoteca, l’ipotesi 2 comprende anche le spese di perizia, di assicurazione ed altre spese addebitate.

Sebbene il CTU non abbia eseguito il calcolo del TAEG come sopra indicato (spese di perizia, di istruttoria e di cancellazione ipoteca oltre alle altre spese addebitate) risulta tuttavia certo che il TAEG applicato sia superiore a quello indicato, in quanto compreso tra il 5,20% ed il 5,29%. Ed infatti, la soglia del 5,20%, già di per se superiore al tasso indicato, è stata calcolata senza tenere conto di alcune spese da includere nel TAEG.

E’ certo, pertanto, che si sia verificata una ipotesi di scostamento significativo tra ISC applicato e ISC dichiarato in contratto.

  1. Mentre è orientamento condiviso quello che qualifica nullo il contratto privo dell’indicatore sintetico di costo, è invece dibattuta la questione delle conseguenze del divario tra ISC applicato ed ISC dichiarato, per i contratti diversi da quelli di credito al consumo (per i quali vale la specifica norma prevista dall’art. 125-bis del TUB).

L’art. 117 TUB impone precisi requisiti di forma e contenuto al contratto bancario, e in particolare, per quel che rileva nel presente giudizio, l’obbligo di indicare <<il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora>> (comma 4); la nullità delle <<clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati.>> (comma 6).

Previsioni presidiate dalle sanzioni di cui al comma 7. Inoltre, il comma 8 dell’articolo citato, dispone che <<la Banca d’Italia può prescrivere che determinati contratti, individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici criteri qualificativi, abbiano un contenuto tipico determinato. I contratti difformi sono nulli. Resta ferma la responsabilità della banca o dell’intermediario finanziario per la violazione delle prescrizioni della Banca d’Italia>>.

Il “Taeg” è stato introdotto per la materia dei crediti al consumo con la Direttiva 88/901/CE, quindi dalla legge europea l.142/1992, e recepito dal Decreto del Ministro del Tesoro 8 luglio 1992 (modificato dal DM 6 maggio 2000) che definiva il Taeg all’art. 2 come quel <<tasso che rende uguale, su base annua, la somma del valore attuale di tutti gli importi che compongono il finanziamento erogato dal creditore alla somma del valore attuale di tutte le rate di rimborso (…) 2.

Il Taeg è un indicatore sintetico e convenzionale del costo totale del credito, da determinare mediante la formula prescritta, qualunque sia la metodologia impiegata per il calcolo degli interessi a carico del consumatore>>.

Quanto all’”ISC”, spesso imprecisamente indicato nella prassi quale sinonimo del primo (“Taeg/ISC”), la sua disciplina è stata introdotta dalla Delibera C.i.c.r. 4 marzo 2003 che all’art. 9, relativamente alle informazioni contrattuali nei contratti, tra gli altri, anche di mutuo fondiario, prevede che <<al contratto deve essere unito un documento di sintesi delle principali condizioni contrattuali, redatto secondo i criteri indicati dalla Banca d’Italia>>, e che (comma 2) <<la Banca d’Italia individua le operazioni e i servizi per i quali, in ragione delle caratteristiche tecniche, gli intermediari sono obbligati a rendere noto un “Indicatore Sintetico di Costo” (ISC) comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinare il costo effettivo dell’operazione per il cliente, secondo la formula stabilita dalla Banca d’Italia medesima>>.

In attuazione di tale delibera le Istruzioni della Banca d’Italia del 25 luglio 2003, (in vigore al tempo della stipula) al Titolo X, sez. II, par. 9, prevedono che <<il contratto e il “documento di sintesi” di cui al par. 8 della presente sezione riportano un “indicatore sintetico di costo” (ISC), calcolato conformemente alla disciplina sul tasso annuo effettivo globale (TAEG), ai sensi dell’art. 122 del T.U. e delle relative disposizioni di attuazione, quando hanno a oggetto le seguenti categorie di operazioni indicate nell’allegato alla delibera del CICR del 4 marzo 2003>> (mutui e altri finanziamenti).

Occorre anzitutto evidenziare che l’ISC, a norma del paragrafo 9, sezione II delle Istruzioni della Banca d’Italia, deve essere riportato non solo nel documento di sintesi, ma anche nel contratto, avente pertanto natura di “contenuto minimo determinato”.

La prevista indicazione dell’ISC nel contratto chiarisce la differenza di natura e funzione rispetto al documento di sintesi. Se, infatti, il documento di sintesi ha una natura meramente riepilogativa e descrittiva di elementi contenuti tutti nel contratto, l’ISC al contrario è il frutto di una elaborazione matematica dell’istituto finanziatore che offre al cliente un elemento informativo fondamentale, ovvero il costo complessivo dell’operazione.

Tale elemento, pertanto, non rappresenta un ausilio alla lettura in senso formale del contratto ma fornisce uno strumento di lettura in senso sostanziale, ovvero consente al cliente di comprendere e valutare l’operazione economica sotto il profilo più squisitamente concreto del costo della stessa mediante una sintesi numerica di immediata e facile percezione.

Si tratta, in effetti, di un dato che non può essere autonomamente elaborato dal cliente, giacché presuppone la conoscenza della disciplina del TAEG, aliunde contenuta, bensì dal solo istituto finanziatore, unico soggetto professionalmente in grado di effettuarlo.

L’assenza dell’indicatore sintetico del costo, a differenza del documento di sintesi i cui elementi sono desumibili da una lettura per esteso del contratto, impedisce al cliente di avere conoscenza del costo del finanziamento e di poter effettuare così una valutazione complessiva e comparativa della proposta contrattuale.

L’ISC, dunque, si pone in una duplice veste. Sia come strumento di pubblicità nella fase pre-contrattuale, e di qui l’inserimento nella sezione II delle Istruzioni, sia quale contenuto minimo e tipico del contratto previsto necessariamente dalla Banca d’Italia quale strumento di protezione del cliente in funzione di trasparenza delle condizioni economiche del contratto.

Tale duplice natura sembra essere rispecchiata anche dalla collocazione sistematica attribuita all’ISC nelle Istruzioni della Banca d’Italia.

L’ISC non viene citato tra gli “strumenti di pubblicità” nella premessa portata dal paragrafo 1 della sezione II mentre viene disciplinato dall’ultimo paragrafo della sezione II, che prelude alla sezione III, contenente appunto la disciplina del contenuto minimo e della forma del contratto.

Ad avviso del tribunale, la collocazione all’interno del contratto, la struttura ontologica di elemento conoscitivo fondamentale dell’operazione economica che deborda da un semplice strumento di informativo, indicano che l’ISC sia un elemento strutturale del contratto.

Come previsto dall’art. 117 TUB, in effetti, l’ISC è stato previsto dalla Banca d’Italia nell’ambito dei propri poteri tipizzatori e conformativi, prescrivendo per i contratti di mutuo e altri finanziamenti (“determinati contratti o titoli, individuati attraverso una particolare denominazione”) un “contenuto tipico determinato”.

L’ISC è pertanto un elemento del contratto su cui si forma la volontà contrattuale delle parti ed anzi può anche dirsi che si tratti dell’elemento fondamentale tra tutte le previsioni del contratto in quanto indica il costo complessivo dell’operazione.

Deve conseguentemente affermarsi che la mancata indicazione dell’ISC rende il contratto difforme dal modello legale con conseguente nullità ai sensi dell’art. 117 c. 8 TUB (“i contratti e i titoli difformi sono nulli”) .

La nullità del contratto per mancata indicazione dell’ISC deriva per altra via anche dalla violazione di norma imperativa.

L’inserimento in contratto dell’ISC, difatti, lungi dall’essere solo obbligo di comportamento del finanziatore, costituisce un obbligo posto a presidio di interessi pubblici di primaria importanza e non solo del cliente: la trasparenza delle condizioni economiche del contratto mediante l’indicazione del costo complessivo dell’operazione non consente solo al cliente di cogliere il senso complessivo dell’operazione, ma altresì di comparare le proposte contrattuali presenti sul mercato così da orientarlo nella scelta della proposta più conveniente e di garantire la più ampia concorrenza tra gli operatori.

Per questo motivo, esso si impone alla volontà delle parti in quanto posto a presidio di interessi superiori.

La violazione della norma, pertanto, non può incidere solamente nell’ambito della responsabilità per inadempimento – che tutela l’interesse privato della parte – dovendo gravitare nell’ambito dell’invalidità per contrasto con una norma imperativa posta a tutela di interessi indisponibili.

Della nullità per violazione di norma imperativa, la previsione in esame possiede anche un aspetto imprescindibile, così come delineato dalla giurisprudenza (Cass. 19025 del 2005), ovvero il fatto di costituire un elemento intrinseco della fattispecie negoziale in quanto relativo al contenuto (dovendo fornire una precisa informazione al contraente) ed alla struttura del contratto (risultando un elemento necessario del corpo contrattuale).

Pertanto, come già ritenuto da questo tribunale, (decreto 29.3.2016, n. 5295), la mancata indicazione dell’ISC, che si verifica anche nell’ipotesi in cui vengano indicate solamente le singole componenti di costo, determina la nullità del contratto sia per violazione del precetto di cui all’art. 117 TUB (in tal senso, Tribunale di Napoli, sentenza n. 779 del 25.5.2015) sia per violazione di norma imperativa ex art. 1418 c. 1 c.c..

  1. Per quanto concerne la conseguenza in cui l’ISC indicato non corrisponda a quello effettivo, in giurisprudenza è stato sostenuto che operi la sanzione prevista dall’art. 117, comma 7 TUB. In tal caso, alcune pronunce hanno sostenuto trattarsi di nullità ex art. 117 comma 6 TUB, dividendosi poi tra l’applicazione del rimedio previsto dalla lett. a), con la riduzione di diritto al tasso annuale Bot relativi all’anno precedente l’operazione di riferimento (Trib. Chieti, 23 aprile 2015, n. 230; Trib. Cremona, 12 luglio 2018, n. 390), e l’applicazione del rimedio di cui alla lett. b), ai sensi del quale andrebbero applicati <<gli altri prezzi e condizioni pubblicizzati per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi al momento della conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, al momento in cui l’operazione è effettuata o il servizio viene reso; in mancanza di pubblicità nulla è dovuto>>, (Trib. Roma, 26 settembre 2018, n. 18189, cit., giudice dott. Basile).

Tale ultima tesi interpreta la disposizione, e segnatamente l’espressione “pubblicizzati” nel senso di “indicati in contratto” (stesso significato da attribuire a quei “prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati” di cui al comma 6).

Di conseguenza, il costo complessivo dell’operazione sarebbe solo quello pubblicizzato effettivamente indicato nell’ISC nominale. Altro orientamento, prevalente, esclude che la difformità tra ISC dichiarato e tasso effettivo dia luogo a nullità ex art. 117 TUB.

Ciò in ragione del fatto che, pur rivestendo una importante funzione, l’ISC è un indicatore dei costi del contratto e non una vera e propria clausola contrattuale, tale per cui le sue eventuali difformità rispetto al paradigma normativo di riferimento, e segnatamente quelle previste dall’art. 117 relativamente agli obblighi informativi, non andrebbero ad integrare profili di invalidità, bensì di violazioni di regole di condotta suscettibili – al più – di fondare degli obblighi di carattere risarcitorio (cfr. Tribunale Milano 26 ottobre 2017, n. 10832; in tal senso altresì Trib. Cagliari 4 ottobre 2016, n. 2724, est. Bernardino).

Un argomento testuale frequentemente addotto a favore di tale tesi è che il TUB non manca, in altri casi, di sanzionare espressamente con la nullità le ipotesi di divergenza tra costo complessivo dichiarato ed effettivo.

Nei contratti di credito al consumo l’art. 125-bis, commi 6 e 7 prevede espressamente la nullità del TAEG con la conseguenza che se il legislatore avesse inteso sanzionare in questo modo contratti bancari diversi da quelli dell’art. 125-bis avrebbe previsto anche in tali casi delle norme ad hoc (ex plurimis Trib Milano, 26 ottobre 2017 cit.; Trib Roma 19 apr. 2017; Trib. Torino 3 aprile 2019, n. 1636; Trib. Monza 2 maggio 2019, n. 1004; Trib. Ancona, 2 maggio 2019, n. 846; Trib. Crotone 20 aprile 2019, n. 525).

  1. Ad avviso del tribunale la difformità tra ISC dichiarato ed ISC effettivo va ricondotta all’art. 117, comma 4, conseguenza giuridica che può essere desunta così qualificando il fatto esposto dalla parte attrice, né ponendosi un problema di mutatio libelli, posto che la domanda proposta presenta, sia dall’atto di citazione, gli stessi elementi della invalidità del tasso applicato e della necessaria conseguente applicazione del tasso sostitutivo.

Il comma 4 prevede che “i contratti indicano il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora”. La norma ha dettato – nello stesso spirito che informa la disciplina dell’ISC come dianzi ricostruita – una disciplina di carattere protettivo per il cliente bancario, che deve essere messo al corrente in modo esatto dei costi del credito.

Il fatto che l’ISC sia “solo” un indicatore complessivo di tali costi, non esime l’istituto da una sua puntuale indicazione in contratto.

Per quanto già precisato, l’ISC è infatti un elemento tipico della struttura del contratto e, di fatto, risulta l’elemento su cui si forma la volontà contrattuale del cliente: egli infatti si determina a stringere l’accordo anche e soprattutto sulla base di un’offerta economica che viene compendiata nell’ISC.

E’ su quel dato che il cliente compara le varie proposte sul mercato e che sceglie quella che, a parità di altre condizioni, è la più vantaggiosa.

Sotto questo profilo, l’ISC ha un peso molto più rilevante di ogni altro elemento economico, compreso il tasso corrispettivo, in quanto è l’unico che consente un effettivo orientamento del cliente fornendogli il costo complessivo dell’operazione.

In conclusione, quando l’art. 117 c. 4 si riferisce al “tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati”,  esso si riferisce anche alla più importante delle condizioni previste in contratto, ovvero alla espressione numerica della sommatoria di tutti i costi dell’operazione.

Del resto, sarebbe monca una disciplina che attribuisse al tasso d’interesse il maggior profilo di tutela, al contempo lasciando sguarnita di tutela la errata indicazione della più rilevante ed importante di tutte le condizioni, ovvero quella che indica il costo complessivo dell’operazione.

Né appare dirimente rilevare che l’art. 117 non detta una norma analoga a quella prevista dall’art. 125 -bis TUB per il TAEG, poiché tale conclusione viene tratta con forzatura logica dopo che si è già affermato che l’art. 117 TUB non prevede alcuna conseguenza in tema di erroneità dell’ISC.

In realtà, è vero il contrario, ovvero che l’ISC, rientrando tra le condizioni del contratto, è soggetto alla sorte di tutte le altre previsioni in caso di mancanza o difformità.

Del resto, non sarebbe comprensibile una differente disciplina tra TAEG ed ISC che hanno medesime struttura e funzione.

Né questa differenza troverebbe ragione nella natura consumeristica del cliente nell’ambito del contratto regolato dall’art. 125bis TUB, per la ragione che il costo complessivo dell’operazione costituisce un elemento necessario del contratto che anche il contraente non consumatore non è in grado di elaborare autonomamente, se non con l’ausilio di un esperto tecnico.

Pertanto, sarebbe irragionevole ritenere che, a fronte di situazioni di identico tenore, il legislatore avesse optato per una distinta tutela.

Inoltre, la tesi che sostiene la natura meramente obbligatoria della previsione dell’ISC, con conseguente risarcimento del danno in caso di violazione, oltre a offrire un rimedio spuntato al cliente beffato, finisce per attribuire all’ISC una  funzione riduttiva e meramente pubblicitaria, non fornendo adeguata spiegazione dell’inclusione dell’ISC non solo nel documento di sintesi, ma nello stesso testo contrattuale.

Conclusivamente, quando l’istituto bancario indica un ISC contrattuale diverso da quello effettivamente praticato, trova piena applicazione la previsione dell’art. 117 c. comma 7, il quale prevede che <<in caso di inosservanza del comma 4 … si applicano: a) il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell’economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell’operazione. b) gli altri prezzi e condizioni pubblicizzati per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi al momento della conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, al momento in cui l’operazione è effettuata o il servizio viene reso; in mancanza di pubblicità nulla è dovuto>>.

 

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