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Cass. civ. Sez. I, ordinanza del 26 giugno 2019 n. 17110, Pres. Acierno, Rel. Falabella

Da Banche E Poteri

Con un recente arresto del 26 giugno 2019 (Ordinanza n. 17110/2019) la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di individuare alcuni importanti principi in materia di “fido di fatto”e di “indeterminatezza dei tassi d’interesse”applicati dall’intermediario bancario.

La Cassazione ha, infatti, affermato che non sussiste nullità del contratto di apertura di credito per vizio di forma, ove lo stesso sia collegato ad un contratto di conto corrente, che ne disciplini l’esistenza. Pur trattandosi di due figure negoziali del tutto distinte ed autonome, la Corte ha riconosciuto il collegamento negoziale tra i due accordi (i.e. il contratto di conto corrente ordinario e l’apertura di credito), richiamando il co. 2 dell’art. 117 T.U.B., in base al quale il C.I.C.R. può prevedere, alla presenza di obiettive ragioni tecniche, che determinati contratti siano redatti in forme diverse da quella scritta. In tal senso il Giudice di legittimità richiamava altresì le istruzioni della Banca d’Italia 24.05.1992 punto 1.4. all. 2, secondo cui non è prevista la forma scritta “per operazioni e servizi già previsti in contratti redatti per iscritto”.

La sentenza in commento si inserisce nel medesimo sentiero già battuto precedentemente dalla stessa Corte di Cassazione e per cui le disposizioni citate sono inequivoche nell’escludere “che il contratto di credito, qualora risulti già previsto e disciplinato da un contratto di conto corrente stipulato per iscritto, debba essere documentato a sua volta, a pena di nullità”. In altri termini, l’obbligo della forma scritta, seppur virtualmente previsto per il contratto di apertura di credito, risulta comunque assolto dal momento che il contenuto normativo di quest’ultimo è regolato da altro contratto – per così dire “quadro” – già redatto per iscritto.

Sulla stessa linea il Tribunale di Taranto aveva affermato che “dal 1992 in poi è sempre stato previsto che – pur nel variare dei testi normativi – non fosse richiesta la forma scritta per i contratti relativi ad operazioni/servizi già previsti in contratti redatti per iscritto – come il contratto di conto corrente – e questo perché costituisce sufficiente garanzia per il cliente che il contenuto del contratto sia reso per iscritto, mentre poi la sua concreta stipulazione […] potrà avvenire in altra forma nel rispetto delle esigenze di celerità ed operatività che taluni contratti esigono” (così Trib. Taranto n. 980 del 11.04.2018). Ne discendeva l’infondatezza della doglianza perché “il detto requisito” (di forma) “non doveva essere osservato proprio in quanto il detto contratto aveva la sua regolamentazione in quello di conto corrente.

La sentenza in commento si dilunga poi sulla presunta legittimità dei “contratti bancari mono-firma”su quali tuttavia abbiamo già avuto modo di disquisire, approfondendone le criticità in punto di effettiva tutela dei consumatori nella pubblicazione del 6 gennaio 2019, cui per brevità, ci riportiamo (cfr.https://www.bancheepoteri.it/2019/01/06/la-querelle-sui-contratti-bancari-e-finanziari-monofirma-alla-luce-della-sentenza-delle-sezioni-unite-della-corte-di-cassazione-n-898-del-16-gennaio-2018/).

L’altro aspetto rilevante affrontato dalla sentenza in questione riguarda la validità delle pattuizioni concernenti gli interessi e la possibilità che il tasso di interesse sia determinabile per relationem(nel caso in esame, attraverso l’avviso sintetico esposto al pubblico o alla periodica pubblicazione attuata sulla Gazzetta Ufficiale); in particolare ci si chiedeva se il requisito di forma richiesto dall’art. 1284 c.c. potesse ritenersi assolto nonostante la mancata indicazione del tasso debitore, identificato invece nel “top rate di volta in volta vigente”.

Ebbene, i Giudici di legittimità hanno sostenuto che la disposizione di cui al co. 3° art. 1284 c.c. in materia di interessi ultralegali, possa ritenersi debitamente soddisfatta, in mancanza di una puntuale indicazione numerica, solo laddove vi sia un “richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché oggettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del tasso stesso[…] nel senso che è necessario […] il riferimento a parametri che consentano la sua precisa determinazione, non essendo sufficienti generici riferimenti dai quali non emerga con sufficiente chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione”. Così come stabilito anche da un’altra recentissima sentenza sempre della Corte di Cassazione – ma della III sezione – ciò che rileva è che “possa essere a priori determinabile il criterio di calcolo del tasso d’interesse” e che, “onde potersi ritenere sussistente il requisito della determinabilità dell’oggetto del contratto di cui all’art. 1346 c.c., il suddetto tasso sia desumibile dal contratto, senza alcun margine d’incertezza o di discrezionalità” (cfr. sent. Cass. Civ. III sez.n. 16097/2019 consultabile su https://www.bancheepoteri.it/2019/07/08/lindeterminatezza-del-tasso-dinteresse-quale-causa-di-nullita-parziale-del-contratto-ai-sensi-dellart-1346-c-c/).

D’altra parte, se il 6° co. dell’Art. 117 T.U.B. in materia di nullità delle clausole relative ai tassi d’interessi, proibendo il rinvio ai soli usi, ammette implicitamente relatio di altro tipo, è pur vero che  la ratio della medesima norma è quella di salvaguardare il cliente sul piano della trasparenza e della eliminazione delle c.d. asimmetrie informative”; si nega, quindi, che “il rinvio a fonti esterne possa operare allorquando il saggio di interesse sia fatto dipendere dalla determinazione unilaterale dell’istituto di credito, da pubblicizzare con una certa modalità: ipotesi in cui il rinvio non ha propriamente ad oggetto l’indice o il parametro attraverso cui va determinato il tasso d’interesse contrattuale […] ma l’elemento documentale con cui la banca verrà a dare rappresentazione esteriore della propria determinazione” . La relatio è, quindi, ammessa, ma solo in quanto risulti coerente con gli intenti di trasparenza a tutela del consumatore e, di conseguenza, solo in quanto consenta sia specificatamente il richiamo nel contratto del tasso prescelto dalla banca; diversamente si consentirebbe alla Banca, parte forte del rapporto, di poter omettere di indicare una condizione economica essenziale del rapporto.

Per tali motivi, la Cassazione ritiene nullo il generico riferimento al top rate, non contenendo tale criterio alcun “rinvio ad elementi esterni, puntualmente individuabili”e, inoltre, perché “non potrebbe comunque giustificare, per quanto fin qui rilevato, la relatioa un indice predeterminato dalla banca”.

Non rileva quindi né il richiamo della clausola in parola all’apposito avviso sintetico esposto al pubblico (poiché si tratterebbe comunque di una determinazione potenzialmente discrezionale, in quanto tale da individuare ex art. 117 co. 4 T.U.Bin contratto), né la pubblicazione della misura del tasso in Gazzetta Ufficiale poiché “tale indicazione non esonerava dalla puntuale enunciazione, in contratto, della misura dell’interesse dovuto”.

Alla luce di quanto sopra, viene stabilito il seguente principio di diritto: “nella vigenza dell’art. 117 d.lgs.n.385/1993, il tasso di interesse può essere determinato per ralationem, con esclusione del rinvio agli usi, ma in tal caso il contratto deve richiamare criteri prestabiliti ed elementi estrinseci che, oltre ad essere oggettivamente individuabili e funzionali alla concreta determinazione del tasso, risultano essere sottratti alla determinazione della banca”.

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