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Tribunale collegiale di Benevento 11 maggio 2016 – Pres. Monteleone, Est. Cuoco

Il concetto di interessi usurari trova la sua sostanziale definizione nella previsione dell’art. 644 cod. pen., norma che, nella sua attuale formulazione (all’esito della modifica introdotta con la legge n. 108 del 7 marzo 1996), contempla due fattispecie di usura, entrambe caratterizzate dalla scomparsa del requisito dell’approfittamento dell’altrui stato di bisogno (divenuto circostanza aggravante ex art. 644, comma 5, n. 3) e dalla introduzione di un limite legale (prima lasciato sostanzialmente alla determinazione concreta dell’interprete), oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Fra queste, la prima e principale fattispecie di usura, strutturata in termini marcatamente oggettivi, prevista dall’art. 644, commi 1 e 3, prima parte, cod. pen., si caratterizza per la determinazione normativa di un tasso-soglia, ossia un limite al di sopra del quale l’interesse diventa “usurario” (art. 2, comma 4, l. n. 108/1996). Questo limite, a sua volta, è determinato dall’art. 2 della stessa legge 108 attraverso il diretto riferimento al tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella gazzetta ufficiale del Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM), maggiorato di uno spread (oggi pari ad 1/4 dello stesso TEGM più 4 punti percentuali). Ed è proprio la particolare connotazione del concetto di tasso soglia, articolato intorno al TEGM, che ha condotto a ritenere, come sostenuto dal reclamante, che gli interessi moratori non possano essere ricompresi all’interno di questo margine. Si è detto, infatti, che il TEGM, così come costruito, rappresenta la misura del costo normale del credito praticato alla normale clientela, perché estrinseca i risultati di un rilevazione statistica effettuata dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio Cambi “comprensiva di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall’ufficio italiano dei cambi e dalla banca d’Italia ai sensi degli articoli 106 e 107 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura”. Rimangono, quindi, esclusi tutti gli elementi attinenti alla fase patologica del rapporto e quindi anche gli interessi moratori, proprio in quanto rappresentativi non già della controprestazione pattuita e quindi di un costo del credito, ma di un danno conseguente all’inesatto o mancato adempimento subito dalla parte mutuataria, convenzionalmente liquidato dalle parti. Per cui, si ribadisce, valutare l’usurarietà del rapporto attraverso gli interessi moratori significherebbe utilizzare un metro costruito per indicare un costo ad un elemento che costo non è (in questi termini si è orientato il collegio di coordinamento dell’ABF, ritenendo che “gli interessi di mora non sono ricompresi nel calcolo del tasso soglia e dunque non possono essere presi in considerazione ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di usura; tra i termini del confronto deve, infatti, sussistere perfetta omogeneità”: relazione sull’attività dell’Arbitro Bancario Finanziario 2013) Ma tanto, ad avviso di questo Collegio, non è condivisibile. Il primo dato dal quale partire è infatti rappresentato dal tenore letterale della norma (art. 644 cod. pen.) che, nel definire il confine del tasso usurario, specifica che nella determinazione “si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”. Il generico riferimento letterale (remunerazioni a qualsiasi titolo) è stato poi successivamente specificato dal decreto legge 29 dicembre 2000 n. 394 (di interpretazione autentica delle disposizioni in tema di usura), che, nel chiarire il tenore della nuova formulazione normativa, ha precisato che “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 cod. pen. e 1815 cod. civ., secondo comma, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”. E così ricomprendendo all’interno della valutazione di usurarietà, ogni elemento economico che, direttamente o indirettamente, è comunque collegato alla erogazione del credito posto a carico del mutuatario,, con la sola esclusione delle imposte e delle tasse. In termini ancora più chiari si pone, poi, la relazione governativa che accompagna il decreto e che, con riferimento specifico agli interessi, espressamente ricomprende ogni tipologia di interesse, “sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio”. In realtà, in senso contrario è stato dato risalto al riferimento testuale contenuto nella prima parte dell’art. 644 cod. pen. (“chiunque … si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro…), che ricollega la consumazione dell’illecito usurario alla dazione o alla promessa di interessi o altri vantaggi in corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità, lasciando, quindi, fuori ogni determinazione convenzionale non legata da un vincolo sinallagmatico alla erogazione del credito. Ma questa argomentazione non appare essere convincente, perché la norma deve essere letta nella sua unitarietà e proprio dalla lettura sistematica della disciplina contenuta nello stesso articolo 644, si nota come, a fronte dell’iniziale limitata angolazione, la prospettiva viene successivamente estesa (nella stessa norma) proprio con l’utilizzo del termine “remunerazione” (“per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”), esso stesso, nella sua neutralità, non necessariamente legato al sinallagma contrattuale, ma riferibile a qualsiasi forma di pagamento, anche ulteriore rispetto alla prestazione inserita nel sinallagma contrattuale. Se questo è il tenore letterale della norma, effettivamente, non può essere revocato in dubbio che la previsione contrattuale di un tasso di interesse moratorio svolga una funzione intrinsecamente diversa rispetto alla parallela determinazione convenzionale degli interessi corrispettivi, essendo i primi una preventiva liquidazione del danno ed i secondi la controprestazione funzionalmente collegata all’erogazione del credito. Ma tanto, ad avviso di questo Collegio, giustifica logicamente solo la mancata rilevazione del dato, e quindi l’estraneità del tasso moratorio rispetto al TEG, non rappresenta elemento sufficiente per escludere gli interessi moratori dalla applicazione del tasso soglia, concettualmente diverso rispetto al TEGM. La rilevazione del TEGM, per come si è detto, è infatti intrinsecamente diretta a registrare (attraverso un’indagine di mercato) il costo fisiologico del denaro (evidentemente differenziato in ragione della diversa tipologia di operazione economica), il “normale prezzo praticato alla normale clientela”, per cui evidentemente non può ricomprendere il tasso moratorio (in questi termini si giustifica la parallela esclusione contenuta nell’art. 19 della direttiva CE 2008/48), che non rappresenta un voce di costo dell’operazione. Il tasso soglia, invece, per come è stato costruito dalla norma, rappresenta il limite massimo entro il quale può concretamente muoversi l’autonomia privata nella complessiva determinazione di tutte le voci economiche, anche quelle che appartengono alla patologia del contratto, nella cui determinazione il TEGM rappresenta solo la base di calcolo per la successiva maggiorazione. Ne consegue, logicamente, che il tasso moratorio, pur non contribuendo a determinare il costo dell’operazione (ed infatti non è rilevato nella individuazione del TEGM), deve comunque contenersi, per come letteralmente si esprime la norma, all’interno del cuscinetto individuato per la determinazione del tasso soglia.

E tanto porta ad escludere anche la prospettata necessità di incrementare il tasso soglia di una ulteriore percentuale, rappresentata proprio dal valore medio di questo spread, e determinato – all’esito di una autonoma indagine statistica condotta nel 2002 a fini conoscitivi dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio Italiano dei Cambi – in una percentuale pari al 2,1%. E ciò non solo e non tanto per le particolari modalità dell’indagine (relativa solo al 2002 e priva di specifica indicazione in ordine alle singole tipologie di operazioni), che rendono la rilevazione non pienamente attendibile, ma per la evidente considerazione che tale percentuale deve necessariamente ricomprendersi, alla luce del terrore letterale delle disposizioni normative richiamate, all’interno del “cuscinetto” individuato dalla norma medesima. La ricostruzione prospettata, conforme al tenore letterale della norma, trova conforto in una conforme giurisprudenza di legittimità che, da ultimo (Cass. n. 350 del 9 gennaio 2013), con una laconica motivazione e richiamando un obiter dictum della Corte Costituzionale (“il riferimento, contenuto nell’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, agli interessi “a qualunque titolo convenuti” rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”: Corte Cost., 25.2.2002, n. 29), ha affermato che “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p., e dell’art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori)”. Né, infine, in senso contrario, può rilevare la diversa prospettazione offerta nelle circolari della Banca d’Italia e nei Decreti Ministeriali attuativi (che espressamente escludono dalla valutazione gli interessi di mora). La funzione affidata all’organo amministrativo conserva natura meramente consultiva, diretta esclusivamente a rilevare attraverso un’indagine trimestrale di mercato, i tassi effettivi globali praticati dagli operatori economici e non a determinare, in concreto il tasso soglia che, simmetricamente, trova la sua fonte esclusiva nella legge. Diversamente opinando, ne deriverebbe un’insanabile vulnus al principio generale stabilito nell’art. 1 del codice penale: “il delitto di usura non riserva compiti “creativi” alla pubblica amministrazione, affidando a questa margini di discrezionalità che invaderebbero direttamente l’area penale riservata alla legge ordinaria: il legislatore si è fatto carico di introdurre e delineare una rigida griglia di previsioni e principi, affidando alla normazione secondaria null’altro che un compito di registrazione ed elaborazione tecnica di risultanze, al di fuori di qualsiasi margine di discrezionalità … affidando al ministero del tesoro il compito di fotografare, secondo rigorosi termini tecnici, l’andamento dei tassi finanziari” (Cass. 18 marzo 2003, Simoni ed altri; Cass. 16 gennaio 2013, Fiarè ed altri). Accertata la necessaria inclusione del tasso moratorio, il superamento del tasso soglia determina la gratuità del mutuo. Tanto emerge esplicitamente dal tenore letterale dell’art. 1815 cod. civ. che, in una valutazione unitaria del regolamento contrattuale, non opera alcuna distinzione tra le diverse tipologie di interessi, escludendone in radice la conservazione. In concreto, quindi, applicando i principi evidenziati in precedenza al rapporto sottoposto alla valutazione di questo Collegio, il superamento del tasso soglia determina la gratuità del mutuo e, conseguentemente, l’inesistenza del diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata alla data del pignoramento (atteso l’integrale pagamento delle rate scadute a quella data, depurate della quota interessi). L’esecuzione, quindi, doveva essere sospesa e, pertanto, il reclamo proposto deve essere respinto.

Testo integrale su http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/15878.pdf

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