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Appello Lecce 12 novembre 2015 – Pres. Buquicchio – Est. Cinzia Mondatore

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Lecce – Sezione seconda Civile – composta dai Signori:

l) Dott. Giovanni BUQUICCHIO – Presidente

2) Dott.ssa Fausta PALAZZO – Consigliere

3) Dott.ssa Cinzia MONDATORE – Consigliere estensore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 807 del Ruolo Generale delle cause dell’anno 2012,

TRA

– APPELLANTE –

E

B.N. S.p.A. (P.I. (…)), con sede in Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’aw. Gisella Raeli, come da mandato in atti;

– APPELLATA E APPELLANTE INCIDENTALE –

OGGETTO: contratti bancari.

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 21.2.2012, il Tribunale di Brindisi – sezione distaccata di Fasano, in accoglimento, per quanto di ragione, della domanda proposta da G.A. nei confronti di B.I. S.p.A. (ora B.N. S.p.A.), in relazione al conto corrente bancario in essere tra le parti, ha dichiarato la nullità delle clausole di determinazione degli interessi debitori e di capitalizzazione trimestrale dei medesimi interessi e l’illegittimità dell’applicazione di commissioni di massimo scoperto e di altre spese di tenuta e chiusura conto non espressamente pattuite; ha rigettato, invece, la domanda attorea di compensazione e/o di ripetizione di indebito, trattandosi di rapporto di c.c.b. ancora in corso, e ha compensato tra le parti le spese processuali, comprese quelle per C.T.U.

Il primo giudice è pervenuto alla decisione ora sintetizzata valutando una serie di questioni, controverse tra le parti, con motivazioni che saranno esaminate, per quanto qui rileva, in relazione ai motivi di appello principale e incidentale che alcune di tali questioni ripropongono in questa sede.

Avverso la decisione suindicata ha proposto appello G.A., con atto di citazione notificato il 6.9.2012, deducendo che il primo giudice aveva erroneamente omesso di pronunciarsi sulla richiesta di parte attrice di rideterminare le poste attive e passive del conto corrente per cui è causa.

Il B.N. S.p.A. si è costituito, con comparsa depositata l’8.11.2012, chiedendo il rigetto dell’appello, perché infondato, per le ragioni esposte in atti, e proponendo a sua volta appello incidentale con cui ha dedotto che erroneamente, per le ragioni che saranno più avanti specificamente illustrate ed esaminate, il primo giudice ha dichiarato la nullità della clausola contrattuale di determinazione degli interessi debitori e 1’i1legittimità dell’applicazione di commissioni di massimo scoperto e di altre spese di tenuta e chiusura conto.

All’udienza collegiale del 17 febbraio 2015 le parti costituite hanno precisato le rispettive conclusioni, riportate in atti, e la causa è stata riservata per la decisione, con assegnazione dei termini ex art. 190 co. I c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

Motivi della decisione

l. Con un unico motivo di impugnazione, l’appellante in via principale ha dedotto che il primo giudice ha erroneamente omesso di pronunciarsi sulla sua richiesta di rideterminare le poste attive e passive del conto corrente per cui è causa, tenendo conto della declaratoria di nullità/illegittimità dei tassi di interesse, delle c.m.s. e delle spese non pattuite applicate dall’Istituto di credito. Ha chiesto, quindi, che l’esatto dare/ avere tra le parti sia accertato in questa sede, sulla base dei risultati della C.T.U. integrativa depositata in primo grado il 30.3.2011, dalla quale emergeva un saldo in favore della correntista pari a Euro 103.957,03, all’esito, tuttavia, di una ulteriore integrazione dei conteggi, espressamente richiesta con l’atto di appello, perché il consulente d’ufficio aveva erroneamente operato, secondo l’appellante, la capitalizzazione annuale degli interessi passivi.

La censura è fondata.

Con l’originario atto di citazione in data 16.3.2005 l’attrice ha chiesto, al punto 4) delle conclusioni, che, in conseguenza delle declaratorie di cui ai punti precedenti, il giudice “voglia rideterminare tutte le poste attive e passive del conto in esame e dunque l’esatto dare/ avere tra le parti, da effettuarsi in sede di CTU tecnico-bancaria e sulla base della documentazione relativa ai rapporti intercorsi” e su tale domanda il primo giudice non ha adottato alcuna decisione.

La richiesta di accertamento del saldo del conto, quindi, contrariamente a quanto sostenuto dalla Banca appellata, non è domanda formulata per la prima volta in questo grado di appello, perché già avanzata con l’atto introduttivo del giudizio, come domanda autonoma e non solo finalizzata alla richiesta (che costituiva il punto 5 delle conclusioni dell’originario atto di citazione) di restituzione o compensazione.

Non vi è dubbio che, come rimarcato nella sentenza impugnata, è solo con la chiusura del conto corrente che si stabiliscono definitivamente i crediti e debiti tra le parti, con la conseguenza che, in costanza di rapporto, non sono proponibili domande di restituzione o di compensazione (domande che l’appellante non ha riproposto in questa sede di gravame). Tuttavia, come precisato anche dalla pronuncia delle sezioni unite della S.C. più volte richiamata in prime cure, nel corso del rapporto il correntista può sempre agire per “ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso” (così, in motivazione, Cass. s.u. 2.12.2010 n. 24418), come avvenuto nel caso in esame. La determinazione dell’esatto dare/avere tra le parti, nel presente giudizio, può essere effettuata sulla base della C.T.U. espletata in primo grado. L’appellante ha sostenuto che la perizia integrativa depositata dal C.T.U. dott. Sergio Pagliara il 30.3.2011, che ha rideterminato in Euro 103.957,03 a favore del correntista il saldo del c.c.b. Al 5.1.2005, non può essere posta a base della decisione perché “è stata fatta applicando la capitalizzazione annuale degli interessi passivi in spregio a quanto sancito in materia dalla Cassazione”.

In realtà, il conteggio ora indicato è stato operato, come espressamente indicato nella relazione, senza capitalizzazione”, sicché non vi sono ragioni per disattenderlo.

La Banca appellata, in relazione a tale conteggio, ha riproposto l’eccezione di prescrizione decennale, già sollevata con la comparsa di costituzione in primo grado, sostenendo che, in ogni caso, la pretesa di ricalcolo avanzata dall’appellante non poteva riguardare un periodo di tempo superiore al decennio, facendo decorrere la prescrizione decennale dal momento in cui pervengono al cliente gli estratti conto o, comunque, da ogni singola rimessa solutoria, secondo le indicazioni della già citata pronuncia di legittimità n. 24418/2010.

L’eccezione è infondata.

La S.C., invero, con la decisione appena richiamata, ha precisato che l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati nell’ambito di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati, e ciò perché in tale ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, mentre il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens (c.d. versamento a carattere solutorio).

Alla stregua di tali principi (all’esito della pronuncia di Corte Cost. 5.4.2012 n. 78, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma asseritamente interpretativa introdotta dall’ art. 61 co. 2 D.L. 29 dicembre 2010 n. 225, conv. con modif. in L. 26 febbraio 2011 n. 10 ), quindi, l’individuazione di eventuali versamenti a carattere solutorio costituisce una circostanza di fatto essenziale ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, con conseguente onere di specifica allegazione ad opera di chi, in tali termini, la prescrizione intenda far valere (cr. Cass. 13.7.2009 n.

16326, secondo cui il debitore, ove eccepisca la prescrizione del credito, ha l’onere di allegare e provare il fatto che, permettendo l’esercizio del diritto, determina l’inizio della decorrenza del termine ai sensi dell’art. 2935 c.c.). Nel caso in esame, invece, né in primo grado, né in sede di appello (laddove, peraltro, la deduzione sarebbe stata ormai tardiva) l’Istituto di credito ha specificato alcunché in ordine alla esistenza di eventuali versamenti a carattere solutorio, idonei a far decorrere il termine di prescrizione.

In mancanza di qualsiasi allegazione, ad opera della convenuta che eccepiva la parziale prescrizione del credito, circa l’esistenza di versamenti a carattere solutorio, pertanto, correttamente il primo giudice ha disatteso l’eccezione di prescrizione, evidenziando che si trattava di rapporto di conto corrente ancora in essere tra le parti e richiamando la consolidata giurisprudenza, anche di legittimità, nel senso della irrilevanza, ai fini del decorso del termine di prescrizione e del prospettato termine di decadenza, del momento di ricezione degli estratti conto da parte del correntista.

2. Rispetto alla declaratoria relativa all’esatta situazione di dare/avere tra le parti ad una certa data, è preliminare l’esame dei due motivi di appello incidentale con cui B.N. S.p.A. ha dedotto:

– che erroneamente il primo giudice ha dichiarato la nullità della clausola di determinazione del1’interesse debitore, perché la convenzione stipulata al1’atto dell’accensione del conto corrente, contrariamente a quanto rimarcato in sentenza, non era indeterminata, ma prevedeva la misura del tasso di interesse creditore, fissandola al 15%, e la misura del tasso di interesse debitore, fissandola al 22% per gli utilizzi entro i limiti dell’affidamento e al 31% per gli utilizzi oltre il consentito;

– che erroneamente in prime cure è stata ritenuta illegittima 1’app1icazione della commissione di massimo scoperto e delle spese di tenuta e chiusura conto, in quanto tali oneri erano leciti ed espressamente pattuiti, nel1’ambito di un rapporto di c.c.b. tra le parti sorto, peraltro, prima della L.

n. 2 del 2009.

Tali censure sono infondate.

Quanto agli interessi debitori, il primo giudice ha rilevato che, nel contratto del 16.5.1983, gli interessi debitori erano pattuiti “nella misura del 31-22%” (fino al nuovo contratto del 29.7.1997) e ha osservato che tale pattuizione è comunque indeterminata, e, perciò, nulla ex artt. 1346 – 1419 co. 2 c.c., “giacché non è dato comprendere, a mente del contratto, in quali ipotesi vada applicato il tasso del 31% ed in quali quello del 22% o, ancora, se la banca abbia inteso cosi – illegittimamente – riservarsi il privilegio di scegliere, discrezionalmente e di volta in volta, il tasso di interesse da applicare all’interno della forbice indicata”.

Si tratta di una valutazione del tutto condivisibile. In realtà, la deduzione della Banca, secondo cui i tassi del 22% e 31% sarebbero riferiti, rispettivamente, agli utilizzi entro e oltre i limiti dell’affidamento, è nuova, perché proposta per la prima volta in questo grado, e, come tale, inammissibile. Con la memoria di costituzione in prime cure, infatti, l’Istituto convenuto si era limitato a dedurre che l’interesse debitorio era del 22%. In ogni caso, la tesi posta a base del primo motivo di appello incidentale risulta infondata: l’indicazione della misura degli interessi debitori contenuta nel contratto del 16.5.1983 (“3l-22%”), infatti, e effettivamente del tutto generica, perché non viene in alcun modo specificato a quali utilizzi vada eventualmente riferita la prima cifra e a quali la seconda.

Per quanto attiene a c.m.s. e spese, poi, la declaratoria contenuta in sentenza è di illegittimità dell’applicazione “di commissioni di massimo scoperto ed altre spese di tenuta e chiusura conto non

espressamente pattuite”.

Il C.T.U., nella relazione del 30.3.2011, ha specificato che: “- la commissione di massimo scoperto non è stata mai conteggiata in quanto, non essendo prevista nel contratto del 16/05/1983, ma solo in quello del 28/07/1997, da tale data il saldo risulta sempre a credito per la correntista sig.ra G.A.; – le spese sono state calcolate dalla Banca con periodicità annuale sino al 30.06.2000 e trimestrale a partire dal 01.07.2000 (terzo trimestre 2000). Tali spese non sono state contabilizzate ma riportate nel loro importo complessivo nel prospetto riassuntivo alla fine di tale relazioni”.

Le spese regolarmente pattuite, quindi, sono già state considerate dal C.T.U. nella relazione integrativa del 30.3.2011. La c.m.s., poi, correttamente non è stata applicata per il periodo privo della relativa pattuizione.

3. Vanno, infine, disattese le censure articolate dalla Banca appellata nei confronti della C.T.U. espletata in primo grado (oltre che per i profili già oggetto di esame: prescrizione, interessi convenzionali, c.m.s. e spese) anche per quanto attiene alla circostanza che il conteggio, così come espressamente richiesto con il quesito integrativo assegnato all’udienza del 17.1.2011, è stato effettuato partendo dal saldo “zero” alla data del 1.1.1987.

Nel caso in esame, come rilevato dal C.T.U. nella sua prima relazione del 13.4.2007, sono stati tempestivamente prodotti in giudizio i soli estratti conto relativi al periodo 1.1.1987 – 31.1.2005, mentre il difensore del1’odierna appellante ha tardivamente prodotto gli estratti conto relativi al periodo 8.1.1986 – 31.12.1986.

ll saldo alla data del 31.12.1986, secondo gli estratti conto elaborati dalla Banca, era pari a L. 10.111.544 a debito del correntista.

In proposito, tuttavia, deve rilevarsi che si tratta di un saldo privo di qualsiasi attendibilità, poiché determinato, come specificamente dedotto dall’originaria attrice, dal1’i1legittima applicazione, al rapporto di c.c.b. in essere tra le parti sin dal 1983, di interessi debitori e di capitalizzazione trimestrale degli stessi interessi, secondo le previsioni del contratto del 16.5.1983. Ne consegue che gravava sull’Istituto di credito, il quale deduceva l’esistenza di una sua posizione creditoria alla data dell’l.l.l987, l’onere di provare la legittimità di tale credito e, cioè, che lo stesso non fosse, in ipotesi, determinato dall’applicazione degli oneri suindicati, a carico del correntista, illegittimamente previsti in contratto.

ln tal senso possono richiamarsi le numerose pronunce della S.C. secondo cui, nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la banca, al fine di dimostrare il proprio credito, ha l’onere di produrre gli estratti a partire dall’apertura del conto e non può sottrarsi all’assolvimento di tale onere invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perché non si può confondere l’onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito (cosi Cass. 25.11.2010 n. 23974; conf. Cass. 26.1.2011 n. 1842 e 19.9.2013 n. 21466).

Non appare, invece, condivisibile, in relazione alla fattispecie qui in esame, il principio, affermato da una recente pronuncia della Corte di legittimità (Cass. 7.5.2015 n. 9201), secondo cui, nell’ipotesi di azione di accertamento proposta dal correntista. il principio applicabile e che chi esperisce una azione di accertamento negativo deve fornire la prova della fondatezza della propria domanda, con la conseguenza che è onere del correntista fornire l’estratto conto zero. Ed infatti, l’oggetto della domanda qui in esame è l’accertamento dell’esatto ammontare del dare/avere tra le parti ad una certa data e, rispetto a tale accertamento, dall’impossibilità, per mancanza di idonea documentazione, di ricostruire le poste attive e passive del primo periodo non può farsi derivare una sorta di sanatoria degli addebiti illegittimi verosimilmente operati dall’Istituto di credito in tale periodo, al pari del periodo successivo (questo sarebbe il risultato dell’adozione, come base per i conteggi successivi, del saldo risultante dal primo estratto conto disponibile). Dalla mancanza dei documenti relativi al primo periodo, secondo i principi di cui all’art. 2697 c.c., appare invece ragionevole trarre in ogni caso la conseguenza che i conteggi dovranno partire da un “saldo zero”, ovvero da una posizione in cui nessuna delle parti vanta debiti/crediti nei confronti dell’altra. Il c.d. saldo zero, d’altra parte, non è necessariamente un punto di partenza favorevole al correntista, poiché 1’integrale disponibilità dei dati sui movimenti di c.c. per il periodo precedente potrebbe anche comportare, come spesso avviene, all’esito del ricalcolo operato con esclusione degli addebiti illegittimi, un saldo addirittura positivo per il cliente della Banca. Rispetto al saldo zero, in definitiva, ognuna delle parti resta onerata della prova di un proprio eventuale credito, derivante dalle operazioni pregresse sul c.c.b., e in mancanza di elementi di prova idonei a determinare, mediante legittimi accrediti e addebiti sul conto, un diverso saldo, correttamente il saldo zero costituisce il punto di partenza per le operazioni di ricalcolo relative al periodo per cui sono disponibili le informazioni relative alle operazioni effettuate sul c.c.b..

4. Sulla base di quanto sin qui osservato, in definitiva, potranno porsi a base della presente decisione i conteggi effettuati dal C.T.U. nominato in primo grado con la relazione integrativa del 30.3.2011 e, quindi, in accoglimento dell’appello principale e in parziale riforma della sentenza impugnata, si dovrà integrare tale pronuncia con la declaratoria che, alla data del 5.1.2005, il saldo del conto corrente bancario in essere tra le parti è pari a Euro 103.957,03 a favore della correntista.

L’accoglimento, in questa sede di gravame, della domanda di accertamento del1’originaria attrice, con la determinazione di un saldo ampiamente a lei favorevole (a fronte di un saldo negativo calcolato dalla Banca al 31.1.2005 pari a Euro 25.632,17), giustifica l’app1icazione del criterio della soccombenza per quanto attiene al1’onere delle spese del giudizio di primo grado, con conseguente condanna della Banca convenuta alla rifusione degli importi liquidati in dispositivo, secondo la previgente tariffa forense.

Anche le spese del presente grado di giudizio vanno poste a carico del1’appel1ata, poiché soccombente, e liquidate come da dispositivo, secondo i criteri dettati dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, in vigore dal 3.4.2014 e temporalmente applicabile in relazione al momento di conclusione dell’attività difensiva (cfr. Cass. s.u. 12.10.2012 n. 17406 e 5.11.2012 n. 18920).

P.Q.M.

La Corte di appello di Lecce, definitivamente pronunciando sull’appello proposto con atto di citazione notificato il 6.9.2012 da G.A. nei confronti di B.N. S.p.A., avverso la sentenza del 21.2.2012 del Tribunale di Brindisi – sezione distaccata di Fasano, nonché sull’appello incidentale proposto da B.N. S.p.A. con comparsa depositata l’8.1 1.2012, così provvede:

1) accoglie l’appello principale per quanto di ragione e, per 1’effetto:

a) dichiara che, alla data del 5.1.2005, il saldo del conto corrente bancario in essere tra le parti è pari a Euro 103.957,03 a favore della correntista,

b) condanna la società appellata al pagamento, in favore del1’appellante, delle spese del giudizio di primo grado, liquidate in complessivi Euro 4.840,00, di cui Euro 340,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per diritti ed Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese forfettarie, IVA e CAP come per legge;

così parzialmente riformando la sentenza impugnata, che conferma nel resto;

2) rigetta l’appello incidentale;

3) condanna la società appellata al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese di questo grado del giudizio, liquidate in Euro 5.157,00, di cui Euro 675,00 per spese, oltre spese forfettarie, in misura pari al 15%, IVA e CAP come per legge.

Così deciso in Lecce, nella camera di consiglio del 21 luglio 2015.

Depositata in Cancelleria il 12 novembre 2015.

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